Una delle cose più difficili da far capire a chi è a digiuno della seo in campo editoriale è l’impegno, l’attenzione e la fatica che questa attività richiede giorno per giorno.
Probabilmente questo dipende dai tanti venditori di fumo che imperversano sul mercato vendendo prime posizioni a chili, keyword un tanto all’etto e altre amenità del genere. E così troppo spesso incontro giornalisti che pensano alla seo come a quei trucchetti da aggiungere ad un sito bello e finito per farlo apparire in prima posizione (quali pagine? boh! per quali parole chiave? boh).
Sarà per questo che, da un po’ di tempo, all’inizio dei miei corsi allieto la platea con una galleria di motivi plausibili per non fare la seo. Della serie: se pensi questo… lascia stare, la seo non fa per te. Un piccolo scherzo semi-serio e un po’ provocatorio per sgombrare il campo da alcune evidenti bad practice e da vecchi luoghi comuni duri a morire.
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I 5 motivi per non fare la seo:
- Non ti curi di sapere chi sono i tuoi lettori. La conoscenza e lo studio approfondito dei segment target, dei loro bisogni informativi è l’unica base possibile per costruire una strategia editoriale che voglia avere un minimo di successo. E soprattutto, la misura: prima di partire è sempre meglio capire la portata della nostra audience potenziale, stiamo parlando a tutto il mondo o a una nicchia di fanatici di un dato argomento?
- Sei più interessato a parlare che ad ascoltare. L’ego spesso è il peggiore dei nostri nemici. Nella editoria lo è ancora di più! Mai dare per scontato che ci siano folle di lettori in trepidante attesa delle nostre parole. Prima di parlare, è sempre meglio ascoltare, confrontarsi, comprendere i bisogni e i problemi reali, i sentimenti e i desideri della nostra audience di riferimento. E poi chiedersi: come potrei essere utile?
- Pensi che la seo inizia dopo che hai scritto i contenuti. Se hai finito di progettare, categorizzare e scrivere tutti i tuoi contenuti e adesso sei alla ricerca di un consulente seo per “fare i trucchetti”… molto probabilmente è già troppo tardi. Hai perso il treno. Riprova: sarai più fortunato! La prossima volta inverti il processo e inizia dalle analisi sulle ricerche, per passare alla architettura dell’informazione e finire con la redazione dei pezzi.
- Aggiungi 20 tag ad ogni articolo così si indicizza di più. Pensare che aggiungere un tag ad un articolo basti a farlo indicizzare è come sperare che mettendo un’etichetta con scritto Jaguar la mia Ape-car diventerà una fuoriserie da collezione. Beh, non è così. Nella maggior parte dei casi che mi sono trovato ad analizzare, togliere tutti i tag – per quanto paradossale – non avrebbe fatto altro che migliorare il posizionamento del sito! Pensate un po’.
- Pensi: “che ci importa di Google, tanto c’è Facebook”. C’è stata un’era in cui Facebook superava Google come fonte di accesso alle notizie. Beh, quell’era è finita. Ma il punto non è solo relativo alla diminuzione della reach organica. Il punto è che non si può prescindere dalla identificazione di un mix composito delle fonti di traffico. E soprattutto che bisogna considerare il diverso approccio di lettura fra chi clicca su un tuo titolo perché gli è passato sotto agli occhi fra un gattino e una diatriba politica, e chi invece si è messo al pc (o al telefono) per cercare un argomento, lì ha trovato il tuo titolo e ci ha cliccato sopra. Ovviamente dipende moltissimo dagli argomenti trattati, ma come dicevamo prima l’approccio del lettore è la cosa più importante che dobbiamo considerare.
Se hai altre “bad practice” da segnalare; oppure se ti ritrovi orgogliosamente in una di quelle elencate, e magari non ti ho fatto cambiare idea… scrivilo nei commenti!
#seo-is-not-for-lazy-guys 😉
Bella provocazione! Complimenti per l’articolo mi ha fatto cambiare prospettiva riguardo la SEO.